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Un territorio da recuperare
Pochi territori come quello italiano sono stati sfruttati, manomessi e sfregiati in nome di una cementificazione sregolata e di una speculazione senza freni che ci presentano quotidianamente un conto salatissimo. Non solo in termini di qualità della vita, spesso mortificata dalla mancanza di programmazione urbanistica, dalla vetustà delle infrastrutture, dalla difficoltà negli spostamenti, dalla scarsità dei luoghi di socializzazione, dal basso livello medio del nostro patrimonio edilizio. Ma anche per ciò che riguarda la stessa salvaguardia delle comuni esistenze, come viene impietosamente sottolineato con sempre maggior frequenza da eventi naturali capaci di mettere in ginocchio intere regioni. Non può, dunque, sorprendere che il tema della rigenerazione urbana viva una straordinaria fase di interesse. Ciò suscita giustamente un moto di soddisfazione, soprattutto tra coloro che da tempo ne invocano imprescindibilità e applicazione.
Le grandi città, ma anche realtà abitative di dimensioni assai più contenute, non hanno perseguito serie politiche di riqualificazione
dell’esistente, ma hanno teso senza sosta a svilupparsi verso l’esterno, creando periferie e frazioni prive di servizi primari e dei necessari requisiti di sicurezza. Una prima, timida inversione di tendenza per fortuna si intravede, anche se troppo spesso si lascia mano libera agli enti locali, che in nome della rigenerazione urbana si spingono a varare provvedimenti e norme che, seppur nati con le migliori intenzioni, rischiano di assumere i connotati di condoni edilizi mascherati o di temibili strumenti in mano agli speculatori.
Quanto sia complesso convergere su di una efficace legge nazionale riguardo a materie in cui lo Stato concede ampie deleghe normative agli enti locali è di tutta evidenza. Un esempio si è avuto in questi anni con il provvedimento per arrestare il consumo di suolo in Italia: varata pur tra mille correzioni e limature dalla Camera dei deputati, la legge si è arenata dopo estenuanti dibattiti nelle commissioni del Senato a causa dell’impossibilità di trovare una strada giuridicamente e fattivamente percorribile. Le Regioni hanno messo in discussione la stessa legittimità del Parlamento a pronunciarsi sulla materia, rivendicando tutta una serie di specificità locali di cui tenere conto e di fronte alle quali, secondo Costituzione, la potestà legislativa dello Stato deve lasciare il passo a quella dei singoli territori