La direttiva poggia su tre elementi: un quadro per la definizione e l’aggiornamento delle retribuzioni minime obbligatorie, la promozione e la facilitazione della contrattazione collettiva sui salari e il miglioramento del monitoraggio e dell’applicazione della protezione del salario minimo
Il Consiglio Ue e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo sulla direttiva per il salario minimo nell’Unione europea. “Un grande passo per la costruzione dell’Europa sociale“, l’hanno definito eurodeputati e commissari ma che non introduce alcun obbligo per gli Stati membri. Tantomeno per l’Italia dove vige già la contrattazione collettiva.
La direttiva – spiega la Commissione – stabilisce un quadro per l’adeguatezza del salario minimo legale, promuovendo la contrattazione collettiva sulla determinazione del salario e migliorando l’accesso effettivo dei lavoratori alla protezione del salario minimo nell’Ue. Questo perché “un salario minimo adeguato è importante per rafforzare l’equità sociale e sostenere una ripresa economica sostenibile e inclusiva. Migliori condizioni di lavoro e di vita avvantaggiano anche le imprese, la società e l’economia in generale, aumentando la produttività e la competitività”.
“C’è un ampio dibattito in Italia su come rafforzare la contrattazione collettiva e se non sia il momento di introdurre un salario minimo. Non imporremo un salario minimo all’Italia, non è questo il tema”, ha assicurato in conferenza stampa il commissario europeo al Lavoro, Nicolas Schmit.
“Questo è un contributo al dibattito e sono fiducioso che i partner sociali italiani arriveranno a un buon accordo per rafforzare la contrattazione collettiva, in particolare per i lavoratori non molto protetti, ed eventualmente giungere alla conclusione che potrebbe essere importante introdurre un sistema di salario minimo in Italia. Ma questo spetta al Governo italiano e alle parti sociali italiane”, ha aggiunto.
Un concetto ribadito anche dal commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni: “Un grande passo avanti europeo verso il salario minimo. Non un obbligo ma un’occasione. Per proteggere il lavoro povero, non certo per indebolire la contrattazione collettiva“.
In sintesi la direttiva poggia su tre elementi:
- un quadro per la definizione e l’aggiornamento delle retribuzioni minime obbligatorie;
- la promozione e la facilitazione della contrattazione collettiva sui salari
- il miglioramento del monitoraggio e dell’applicazione della protezione del salario minimo.
Nel dettaglio, gli Stati membri con retribuzioni minime obbligatorie – che devono recepire la direttiva entro due anni – dovranno mettere in atto un solido quadro di governance per la fissazione e l’aggiornamento delle retribuzioni.
Tra cui, criteri chiari per la determinazione del salario minimo (potere d’acquisto tenendo conto del costo della vita; livello, distribuzione e tasso di crescita dei salari; e produttività nazionale); l’utilizzo di valori indicativi di riferimento per guidare la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi; il coinvolgimento delle parti sociali nella fissazione e nell’aggiornamento del salario minimo.
La direttiva sostiene inoltre in tutti gli Stati la contrattazione collettiva. Questo perché i Paesi con un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere una quota inferiore di lavoratori a basso salario, minori disparità salariali e salari più elevati. Inoltre, la direttiva chiede agli Stati membri in cui la copertura della contrattazione collettiva è inferiore all’80% di definire un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva.
Fonte: Agi